I risultati conseguiti negli anni dinanzi ai Giudici del Lavoro sono il riscontro piĂą imparziale della attenzione dedicata ad ogni mia pratica e ad ogni mio cliente. 
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Il dott. Sarti per circa 20 anni è stato dirigente di una importante tech company quotata in borsa, ricoprendo da ultimo il ruolo di Direttore Commerciale.
A seguito di una operazione di M&A che ha determinato il cambio del board e dell’amministratore delegato, il dott. Sarti ha iniziato a subire un progressivo esautoramento e poi demansionamento.
Infine, dopo circa un anno e mezzo, al dott. Sarti sono state contestate delle ipotetiche condotte sleali e poi anche un improprio scambio di mail intercorso con la direzione HR.
Sulla base di tali argomenti, la società licenziava per giusta causa il dott. Sarti, precludendogli sin da subito l’accesso in azienda e ponendolo così in una situazione difficoltosa e di estrema precarietà economica.
Sennonché, nel corso dei 12 mesi precedenti il licenziamento, il dott. Sarti – con il mio supporto professionale – ha raccolto per tempo le evidenze documentali inerenti il suo apporto di lavoro.
Inoltre, sempre su mio consiglio, il dott. Sarti ha anche dato luogo allo scambio di mail con il nuovo management, pre-costituendo delle prove della pretestuositĂ di alcune condotte aziendali.
Questi elementi documentali sono stati utilizzati nel giudizio di impugnazione del licenziamento ed hanno convinto il Giudice del Lavoro di Milano ad accogliere la domanda del dott. Sarti, senza escussione testimoniale e sulla base delle sole allegazioni prodotte in giudizio. La condanna a carico della società è stati pari ad Euro 209.649,07 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso (12 mesi) ed ulteriori Euro 209.649,07 a titolo di indennità supplementare. Il dott. Sarti è stato indennizzato per un ammontare pari a complessivi Euro 419.298,14.
Ciò ha consentito ad Alessandro di rimediare l’improvvisa perdita del posto di lavoro e di finanziare al tempo stesso una nuova iniziativa imprenditoriale nel settore delle energie rinnovabili.
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Il dott. Foglia è stato per 4 anni membro del consiglio di amministrazione di una multinazionale del settore della gomma e della plastica. In relazione al ruolo di amministratore, la società riconosceva al medesimo un compenso pari ad Euro 80.000 annui.
Tale importo è stato versato per i primi 2 anni. Dopodiché, la Società ha cessato il pagamento, sostenendo che il dott. Foglia avrebbe rinunciato a detto compenso nel corso di un consiglio di amministrazione registrato successivamente da un notaio.
Sennonché, per effetto di una scrupolosa disamina dei carteggi mail del dott. Foglia con l’amministratore delegato della società siamo riusciti a raccogliere le evidenze documentali con le quali si è potuto dimostrare la certezza del credito del dott. Foglia.
Ciò ci ha consentito di far ottenere al dott. Foglia dapprima la ingiunzione per il pagamento di un importo pari ad Euro 163.734,80, che è poi stata confermata anche nella successiva fase di merito dal Tribunale delle imprese di Milano.
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Marco ha lavorato per circa 6 anni per una azienda statunitense di abbigliamento, ricoprendo il ruolo di responsabile commerciale Italia ed Europa, con la qualifica di quadro del CCNL Terziario.
Nel dicembre 2019, l’amministratore delegato della società comunica a Marco l’intenzione di recedere dal rapporto di lavoro per esigenze di riduzione dei costi.
Sin da subito Marco si rende disponibile a trattare con l’azienda una sua incentivazione all’esodo. E la società comunica inizialmente al medesimo un’offerta pari a 6 mensilità .
Trattandosi di azienda con meno di 16 dipendenti, Marco accetta l’offerta verbale fattagli dall’amministratore delegato a fine dicembre 2019.
Tuttavia, nei primi giorni di gennaio 2020, la societĂ ritorna sui propri passi, comunicando a Marco la disponibilitĂ ad offrire soltanto 3 mensilitĂ .
Marco a quel punto dichiara di non essere interessato e di voler così proseguire il proprio rapporto di lavoro.
Per tutta risposta, la SocietĂ il giorno stesso apre un procedimento disciplinare nei confronti di Marco, che si conclude poi con il licenziamento per giusta causa del medesimo.
Marco con il mio supporto impugna giudizialmente il licenziamento in tronco e adduce quale prova della natura ritorsiva della iniziativa aziendale la mail (in formato di posta elettronica certificata) con la quale il medesimo formalizzava il proprio rifiuto della offerta aziendale pochi istanti prima dell’avvio della procedura disciplinare che poi ha portato al suo licenziamento in tronco.
La infondatezza della contestazione disciplinare, unitamente alla anterioritĂ della pec di (legittimo) rifiuto della offerta di 3 mensilitĂ hanno convinto in giudice del lavoro di Milano del ritorsivitĂ del licenziamento.
In tal modo, nonostante il regime di tutela obbligatoria del rapporto di lavoro di Marco, il Tribunale di Milano ha disposto la reintegrazione ex art. 18 Stat. Lav. nonché al pagamento di una indennità risarcitoria pari ad Euro 7.529,66 per ogni mese non lavorato.
Complessivamente, Marco – stante l’esercizio di opzione di rinuncia alla reintegrazione – ha ottenuto una indennità lorda pari ad Euro 143.063,54.
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Con sentenza depositata nel gennaio 2016, il giudice del lavoro di Lecce aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa irrogato nel luglio 2010 da Banca S.p.A. al sig. Mario.
In particolare, al lavoratore – che ricopriva il ruolo di responsabile di una succursale di Banca S.p.A. – era stata contestata la violazione delle normative previste in tema di anti-riciclaggio, avendo il medesimo omesso le segnalazioni ed i controlli di legge sulle operazioni svolte per conto di un pluripregiudicato bancarottiere vicino ad un noto clan mafioso della zona.
Nella sentenza di primo grado, il giudice però aveva rilevato che all’esito del procedimento penale intrapreso dalla procura della repubblica nei confronti di Mario, quest’ultimo era stato prosciolto per insussistenza del fatto illecito.
Quindi, secondo il primo giudice, la innocenza “penale” del sig. Mario, doveva tradursi anche nell’accoglimento del ricorso di lavoro di quest’ultimo contro il licenziamento per giusta causa, inflitto da Banca S.p.A.
Ricevuto l’incarico da Banca S.p.A. per il patrocinio della causa di appello, avverso la sentenza di reintegrazione, sono riuscito a focalizzare l’attenzione della Corte sulla pluralità di omissioni commesse dal sig. Mario, indipendentemente dalla rilevanza penale delle stesse.
La Corte d’Appello di Lecce, accogliendo i motivi di gravame da me formulati ha riformato la sentenza di primo grado, evitando alla Banca S.p.A. la reintegra e soprattutto il versamento al sig. Mario di circa 6 anni di retribuzioni non percepite (luglio 2010 – gennaio 2016).
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La Medserv è una società che gestisce case di cura per anziani su tutto il territorio nazionale.
Nell’aprile 2020, Medserv ha contestato e licenziato per giusta causa il sig. Bianchi, il quale disapplicando il regolamento e le procedure aziendali ed anche di settore aveva movimentato da solo una paziente della struttura, procurandole un grave infortunio che successivamente ne provocava il decesso.
Il sig. Bianchi impugnava il licenziamento avanti il Tribunale di Milano, sostenendo l’assenza di prove che potessero ricondurre a lui la responsabilità di quanto accaduto alla paziente deceduta.
Ricevuto l’incarico da Medserv per il patrocinio della causa, considerata l’assenza di testimoni che potessero confermare di aver visto direttamente la condotta illecita del Bianchi, sono riuscito dimostrare comunque la responsabilità del ricorrente, facendo emergere all’esito di una dettagliata istruttoria per testimoni che: A) la paziente non poteva essersi procurata l’infortunio da sola, essendo incapace di muoversi; B) che non erano presenti in prossimità della paziente altri dipendenti se non il ricorrente, che quindi poteva essere ritenuto responsabile di quanto accaduto.
All’esito del giudizio il Tribunale del lavoro di Milano ha rigettato il ricorso del sig. Bianchi, condannando anche il medesimo alla rifusione delle spese legali a Medserv.
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Il sig. Rossi è stato addetto all’attività di facchino presso il Grand Hotel Bocci di Bologna. Nel corso della sua carriera il lavoratore ha svolto attività , ulteriori rispetto al mero facchinaggio occupandosi anche di piccole manutenzioni.
Con un ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato avanti il Tribunale di Bologna, il sig. Rossi ha eccepito lo svolgimento di mansioni superiori e poi anche il demansionamento rispetto all’attività svolta come solo facchino.
Ricevuto incarico di difendere Grand Hotel Bocci di Bologna, ho redatto la memoria di costituzione in replica alle doglianze del sig. Rossi. E all’esito della istruttoria per testimoni il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso del lavoratore, condannandolo alla rifusione di Euro 5.800 di spese legali.